Le biciclette di Rosarno
Le biciclette sono ovunque.
Le affianchi sulla strada, le superi oppure le incroci nel verso contrario, le schivi ai bordi della carreggiata e appena giunti a destinazione le trovi lì ad
aspettarti. Vecchi telai, catene, copertoni, pedali, bici in movimento, in ogni spazio visivo si respira un’urgenza di mobilità, di movimento, di moto a luogo oltre alla sporcizia, al fango,
al malessere. Ti basta qualche istante per chiederti dove sarà diretto tutto questo movimento. Per alcuni sicuramente verso un lavoro stagionale, per altri, la maggior parte,
una fuga momentanea, un incontro, una telefonata, qualunque cosa purché distragga da un’attesa immobile e lacerante.
Una fuga da un tempo che non scorre. C’è chi è qui da mesi, chi non può andare via, ma anche chi ritorna per rinnovare i documenti perché è qui che è stato regolarizzato. La
maggior parte non ha dove dormire e cerca ospitalità in tende logore oppure un giaciglio in un capannone fatiscente. Per combattere il tempo sospeso il movimento si traduce anche
in una continua operosità che oltre alla disperazione trasmette un profondo senso di dignità. Un macellaio, un chiosco di bevande, chi ripara le biciclette, chi può istallare una
parabola o ricaricare il telefono, chi sta ricostruendo la sua tenda, una chiesa. Il tentativo di trovare una normalità è costante.
Cos’è questo luogo? Forse è un confine nel senso più profondo, un luogo del limite dove le normali regole restano a qualche km di distanza, un luogo dove la voglia di vivere e la
disperazione si intersecano, un luogo nel mezzo di una nazione che vuole dirsi moderna e civile eppure permette che esseri umani vivano in queste condizioni e si autoassolve
elencando grandi numeri e scarsità di risorse.